Il romanzo dell'impero romano by Giulio Castelli

Il romanzo dell'impero romano by Giulio Castelli

autore:Giulio Castelli
La lingua: ita
Format: azw3, mobi, epub
pubblicato: 2014-07-06T22:00:00+00:00


4.

Ma le sorprese in quell'anno non erano finite. Eravamo appena tornati a Soissons dopo la brutta avventura di Parigi, che giunse la notizia di una grande impresa del conte Marcellino. Il governatore dell'Illirico era salpato da Spalato, aveva disceso l'Adriatico, attraversato lo Jonio per poi sbarcare a Siracusa. I Greci di quella città lo avevano acclamato come se fosse un imperatore. Marcellino era tornato in Sicilia dopo la fuga di quattro anni prima e in pochi giorni aveva liberato tutta l'isola dai Vandali. Ma l'aspetto più singolare di quella azione era che Marcellino non aveva neppure avvertito l'augusto Libio Severo che, come noi, lui non riconosceva.

Aveva preso possesso della Sicilia, che apparteneva all'Occidente, in nome dell'imperatore d'Oriente.

Era un insulto diretto non tanto all'insignificante Libio Severo, quanto a Ricimero e al suo regime. Lo Svevo però non aveva forze sufficienti per scatenare una guerra civile. Doveva sempre guardarsi dai Vandali che in pochi giorni potevano tornare alla foce del Tevere. Si sentiva minacciato dall'armata che Egidio poteva condurre con facilità fino all'Italia. Non si fidava dei Visigoti che ormai dominavano la Gallia dai Pirenei al Rodano. Temeva l'imperatore d'Oriente che non gli mostrava amicizia.

Secondo quanto appresi in séguito, in quei giorni si aggirava anche di notte nel suo palazzo di Ravenna. La sua rabbia si misurava con la lunghezza dei passi. Non era mai stato loquace, ma ora il suo silenzio appariva terribile ai malcapitati funzionari del palazzo. Mi raccontarono che alcuni di loro si appiattivano lungo i muri. Temevano di farsi vedere. Ogni scusa era buona per uno scoppio d'ira. Ricimero aveva scacciato i messi di Libio Severo, che lo infastidivano con lamentele su questioni secondarie. L'inutile imperatore che aveva indossato la porpora dopo Maggioriano era terrorizzato.

Qualcuno lo aveva convinto che esisteva un piano per attentare alla sua vita. Non si fidava delle guardie del palazzo e aveva fatto circondare tutto il Palatino dai suoi buccellari. Le vie d'accesso erano state bloccate.

I portoni dei templi erano sorvegliati per impedire che i malintenzionati si nascondessero in quei luoghi un tempo sacri. I mendicanti che stazionavano davanti agli atri abbandonati erano stati scacciati.

Ricimero considerava quelle paure come manifestazioni di stupidità. Ma era abbastanza ovvio che un uomo stupido compisse azioni stupide. Libio Severo non era particolarmente crudele, ma l'ambizione lo aveva accecato.

Si era convinto di poter essere davvero un imperatore. Chi lo frequentava riferiva addirittura che credeva di essere lui a manovrare Ricimero e non viceversa.

Un altro insulto all'augusto d'Occidente era stato rivolto all'inizio di quel 464 dall'imperatore d'Oriente. Leone il Trace aveva concesso il consolato ad Anicio Olibrio senza neppure consultarlo. Eppure Olibrio era un senatore romano e nove anni prima era fuggito a Costantinopoli per non cadere ostaggio nelle mani di Genserico.

Anche papa Ilario non sembrava molto interessato alla presenza di Libio Severo in città. Si considerava molto più importante dell'imperatore.

Si muoveva in continuazione per le strade di Roma. La sua lettiga era portata da servi che indossavano abiti di seta. Era preceduta da diaconi salmodianti, gli occhi cerchiati di nerofumo e i capelli arricciati dal calamistro.



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